Relazione di cura e filosofia duale della mente1

Gianfranco Basti

Psychotherapie-Wissenschaft 10 (1) 44–49 2020

www.psychotherapie-wissenschaft.info

CC BY-NC-ND

https://doi.org/10.30820/1664-9583-2020-1-44

Abstract: In questo contributo, vengono delineati i principi della relazione di cura basata su un’antropologia duale, propria dell’approccio intenzionale alle scienze cognitive, comune sia alla tradizione scolastica che a quella fenomenologica. Tale approccio è basato sul principio della inoggettivabilità dell’io al sé e quindi sul principio che la relazione di cura consista ultimamente nel restituire all’io il suo dinamismo, evitando la sua fissazione in sempre inadeguate immagini del sé, indotte dall’ambiente o dallo stesso individuo, e restituendolo così ad una sua costruttiva relazione con la realtà. Dell’antropologia duale viene offerta anche una sua fondazione fisico-matematica, basata sulla distinzione energia-informazione, che definisce il vivente e l’uomo in particolare come un sistema «aperto» in continuo scambio reciproco di energia e informazione con l’ambiente fisico e interumano. Questo fa sì che la mente e le sue funzioni superiori (intelletto e volontà) si collochino non «nel» cervello, ma nell’interfaccia del cervello col proprio ambiente, dando alla nozione di «persona» come individuo aperto alla relazione intersoggettiva una fondazione che – contro la schizofrenia moderna dei dualismi fra «materia» e «spirito», fra «fisica» e «metafisica», fra «scienza» e «umanesimo» – è in grado di abbracciare in una sintesi armoniosa il meglio della scienza moderna con il nucleo delle grandi tradizioni metafisiche, al di qua delle successive distinzioni di fedi e culture.

Parole chiave: matematica, fisica quantistica, neuroscienze, scienze cognitive, intenzionalità, realtà, intersoggettività, libertà, persona, cura, relazione terapeutica

L’io è persona:individuo biologico e persona umana

I viventi come sistemi auto-organizzanti

Chi è questo «io» che è «presente-a-se-stesso» in ogni atto cosciente, di conoscenza sia dell’altro da sé che di se stesso? È l’individuo-biologico-uomo che, proprio perché capace di auto-conoscersi, attraverso la sua relazionalità ad altri «io», attraverso cioè il suo «essere-noi», è capace altresì di auto-determinarsi – pur negli ovvi limiti della propria fisicità e della propria socialità. In questo senso l’io è persona e non solo «individuo».

Natura duale della materia fisica biologica

Qualsiasi ordinamento dinamico fra molti oggetti implica una «relazione d’ordine», cioè una correlazione fra di loro. Ciò che in Quantum Field Theory (QFT), a livello macroscopico, si denota col termine onde di correlazione che si propagano fra le oscillazioni delle strutture molecolari e le loro interazioni, a livello microscopico può essere denotato come successive variazioni di distribuzione di densità di corrispondenti quanti di correlazione. Un po’ come un’onda d’acqua che si propaga in un lago altro non è, a livello microscopico, che successive variazioni della distribuzione di densità delle gocce d’acqua che compongono l’onda in movimento. Nel caso delle correlazioni fra campi di forze studiate dalla QFT, questi quanti di correlazione sono definiti «bosoni di Goldstone» o «di Nambu-Goldstone» dal nome di coloro che per primi li hanno studiati (Nambu, 1960; Goldstone, 1961; Goldstone et al., 1962).

La differenza con gli altri «bosoni» cosiddetti di gauge – cioè i «quanti» dei corrispettivi campi di forze: i fotoni del campo elettromagnetico, i bosoni W e Z del campo della forza debole (quella dei neutrini), i gluoni del campo della forza forte (quella dei quark), e, da ultimi, i bosoni di Higgs, comuni a tutti e tre i precedenti –, che sono tutti mediatori di scambi di energia e dunque quanti di energia, i «bosoni di Goldstone» non mediano scambi di energia, ma le modalità di questi scambi. Non sono cioè quanti di energia e dunque di materia, ma quanti di correlazione e dunque di informazione. La conseguenza è che quando lo stato ordinato che essi mediano (p. es., riscaldando un magnete, esso perde la proprietà di magnetizzazione), mentre l’energia e i relativi quanti si conservano (per il primo principio della termodinamica, ovvero «nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma») l’ordine e i relativi quanti di Goldstone semplicemente svaniscono. Questa è la base del cosiddetto, fondamentale, «teorema di Goldstone» (Itzykson & Zuber, 1980; Umezawa, 1995), alla base della QFT.

In altri termini, malgrado i bosoni di Goldstone sono «particelle reali», osservabili con le stesse tecniche delle altre particelle quantistiche (diffusione, scattering2 etc.), non solo nella QFT della materia condensata che abbiamo esaminato finora, ma in qualsiasi settore della fisica quantistica, ovunque abbiamo a che fare «con rotture di simmetria» (Goldstone et al., 1962), nondimeno esse non esistono fuori dei sistemi che essi ordinano. Per esempio, nel caso dei cristalli, i quanti di correlazione relativi o «bosoni di Goldstone» si chiamano «fononi»; nel caso dei ferro-magneti si chiamano «magnoni»; nel caso della materia vivente si chiamano «DWQ» (dipole wave quanta, «quanti di onde di dipolo») etc. Tutti questi bosoni di Goldstone «esistono» finché durano i relativi stati coerenti della materia. Senza stato cristallino non ci sono più fononi, senza magneti non ci sono magnoni, senza vita in un cadavere non ci sono più DWQ – che allora sono manifestazione fisica della «forma» metafisica del vivente, della sua «anima» come le dispositiones dell’ontologia tommasiana. È evidente che tutto questo ha senso solo in un’ontologia duale: la forma (informazione), in quanto relazione d’ordine, non è meno reale e meno misurabile della materia (massa-energia). Quattro secoli di fisica materialistica ci hanno disabituato a quello che il senso comune ha sempre saputo al riguardo, confinando «le forme» o nell’astrattezza della matematica o nella poesia dell’arte e della religione, fuori comunque dalla scienza fisica. Ma ognuno sa che, per esempio, dopo aver modellato la creta in forma di quadrato, quando distruggiamo quella forma, essa svanisce senza lasciare traccia, ma la creta rimane nella stessa quantità di prima.

Quantum Field Theory (QFT), intenzionalità, principio di realtà e intersoggettività nelle dinamiche cerebrali

Come A. L. Perrone ed io stesso abbiamo evidenziato in molti lavori durante gli ultimi vent’anni sulle basi neurofisiologiche dell’intenzionalità (Basti & Perrone, 1995, 2001, 2002; Basti, 2009, 2012a), solo delle correlazioni a lungo raggio, che si propaghino in tempo reale in ampie aree del cervello e che si manifestino come oscillazioni aperiodiche di tipo «caotico» possono offrire una valida spiegazione dinamica di un atto intenzionale, che coinvolge sempre la simultanea interazione fra componenti neurali motorie, sensorie ed emozionali, localizzate in aree molto distanti fra di loro del cervello, rispettivamente nelle cortecce (aree senso-motorie e associative) e nel sistema limbico.

Una tale «coordinazione», che costituisce anche il «tessuto» di fenomeni di memoria a lungo-termine, non possono essere spiegati nei termini dell’usuale costituirsi di reti di mutua attivazione fra assoni e sinapsi di neuroni, che richiederebbero per tali distanze tempi troppo lunghi e che quindi possono riguardare solo fenomeni di memoria a breve-termine, come acclarato ormai nelle neuroscienze. Così, per esempio, si esprimeva negli anni ’40 K. Lashley, uno dei neurofisiologi pionieri della Gestalttheorie applicata allo studio della neurofisiologia, e quindi delle moderne «neuroscienze cognitive».

Per sintetizzare, Freeman e il suo gruppo (2012) hanno usato molteplici tecniche avanzate di brain imaging, come l’EEG multielettrodo, l’elettrocorticogramma (ECoG) e il magneto-encefalogramma (MEG) etc. per studiare, mediante tecniche avanzate di elaborazione dati, quello che il neurofisiologo considera come l’attività di fondo del cervello, spesso filtrandola perché considerata come «rumore di fondo», rispetto all’attività sinaptica dei neuroni cui di solito il neurofisiologo è esclusivamente interessato.

Dinamicamente, il riconoscimento «intenzionale» di uno stimolo da parte del cervello corrisponde all’instaurarsi istantaneo (nell’ordine dei decimi di secondo) di un «dominio di coerenza» («melodia») in un’area estesa del cervello, ovvero al formarsi di attrattori a più bassa dimensionalità della dinamica cerebrale, mentre la fase di latenza fra un riconoscimento e l’altro, all’instaurarsi di un regime caotico fortemente rumoroso (aperiodico), per il quale Freeman ha coniato il neologismo di «caos stocastico» (Freeman, 2000 – nella metafora «orchestrale» la cacofonia di suoni che si crea prima del concerto quando gli orchestrali accordano ciascuno il suo strumento senza interagire fra di loro). Intuitivamente, si può immaginare anche la dinamica complessiva come l’alternarsi di un processo di condensazione in «goccioline» (attrattori caotici a bassa dimensionalità o «rottura di simmetria» del «vuoto quantistico») ed uno di rarefazione (regime caotico fortemente rumoroso o di «caos stocastico», o di «[pseudo-]vuoto quantistico») della condensa su una superficie umida sottoposta a repentine variazioni di temperatura.

Fig. 1: Carattere intenzionale della ricezione dello stimolo olfattivo nel gatto. Lo stesso stimolo (=odore del pesce) produce (sopra) o non-produce (sotto) una modulazione in ampiezza della risposta dei neuroni del bubo olfattivo, a seconda che l’animale è affamato o sazio. Evidentemente il vecchio schema meccanicistico e passivo di interpretazione della sensazione, «stimolo-risposta» è completamente infondato. D’altra parte, è evidente che devono esistere collegamenti dinamici fra corteccia sensoria e sistema limbico per giustificare un siffatto schema intenzionale.

Fig. 2: Formazione di attrattori (curve chiuse a destra) come stati coerenti di modulazioni in ampiezza nell’EEG (sinistra) del bulbo olfattivo del coniglio durante la recezione intenzionale (passiva-attiva) di stimoli olfattivi.

Due sono le caratteristiche rivoluzionarie, rispetto ad altri approcci che vanno rilevate, e che sono della massima importanza anche per lo psicologo e lo psicoterapeuta, oltre che per il filosofo della mente:

  1. L’informazione dall’ambiente al cervello, non è un processo di trasmissione passiva come quando inseriamo un programma in un computer o lo scarichiamo dalla rete. Il cervello risponde ad un medesimo stimolo generando informazione, ovvero stati dinamici coerenti nella dinamica cerebrale complessiva. Allo stesso stimolo, dunque cervelli diversi risponderanno in maniera diversa, avendo una diversa storia, come il modello intenzionale e non-rappresentazionale di operazione cognitiva richiede (Basti, 2009, 2012a). La conoscenza oggettiva e universale cioè è una forma di adeguamento, di assimilazione intenzionale all’oggetto. Un po’ come nell’aritmetica a moduli di Pitagora: se l’oggetto da riconoscere è, per esempio, il «7», per chi parte da «4» la conoscenza (=l’adeguazione al «7») significa «+3», per chi parte da «9» significa «-2». «Universalità» non significa, come nel modello rappresentazionale platonico, «avere tutti le stesse idee in testa» (Popper diceva giustamente che il platonismo è il padre di tutti gli integralismi), ma idee diverse in teste diverse per adeguarsi tutti in modi necessariamente diversi all’unica realtà.3
  2. Tutto questo ha trovato, in maniera del tutto indipendente da considerazioni filosofiche, ma per motivi esclusivamente fisico-matematici, e per questo è ancora più significativo, una giustificazione nella modellizzazione matematica della QFT dissipativa, in generale, e quindi anche applicata al cervello, che va sotto il nome di «duplicazione dei gradi di libertà» (doubling of the degrees of freedom), e conseguente «duplicazione delle algebre», nella loro modellizzazione matematica (Celeghini et al., 1992; Vitiello, 2007).

Infatti, come abbiamo detto più sopra, l’input dall’ambiente determina nella dinamica del sistema ricevente (nel nostro caso, un dato sotto-sistema cerebrale [neuroni+glia+ambiente cerebrale circostante]), la risposta come auto-determinazione di un particolare comportamento dinamico (oscillazione) coerente, che definiremo A, con conseguente «congelamento» di altri possibili comportamenti dinamici (=congelamento degli altri gradi di libertà). Ciò che varia significativamente e stabilmente nel cervello stesso, dunque, nel caso di un input cognitivo, non è l’energia (materia) la cui variazione, alla fine e necessariamente, si annulla per la condizione di «bilancio energetico», ma l’informazione, e questo con buona pace del vecchio schema meccanicista.

Vitiello e i suoi collaboratori spiegano tutto questo in termini fisici, sottolineando come l’azione dell’input, poiché ha come effetto l’induzione di uno stato coerente («accordo», «melodia») di correlazione a lungo raggio dei campi elettromagnetici associati alle diverse componenti del cervello, essendo questo un fenomeno di tipo informazionale con bilancio energetico, non essendo cioè legato ad un significativo aumento di energia all’interno del cervello stesso, non modifica lo stato fondamentale energetico del cervello medesimo. In altri termini, ciò che l’input alla fine produce nella dinamica cerebrale non è una variazione globale dell’energia (=nulla), ma dell’informazione (=stato coerente). Tale stato ordinato prodotto da quell’input è stabile nel tempo – costituisce cioè una memoria a lungo termine di quel tipo di input – almeno finché il cervello resta ancorato all’ambiente esterno (cioè «è vivo»).

In concreto, dunque, per collegarsi all’usuale evidenza neurofisiologica, ogni volta che un nuovo input è ricevuto da un determinato sistema sensorio (visivo, auditivo, tattile etc.) attiva certamente la specifica rete neurale fatta di connessioni sinaptiche cui gli ordinari studi neurofisiologici ci hanno abituato. Questo, però, avviene nell’ambito di un’attività dinamica di base dei sistemi neurali nel loro complesso, che, lungi, dal consistere in un «rumore di fondo», costituisce invece il contesto di «memoria dinamica» a lungo-termine in cui – i gradi di libertà entro cui – interpretare il nuovo dato in arrivo. L’ambiente esterno viene, perciò, «modellizzato dal cervello», secondo però quella modellizzazione auto-adattiva all’input, che l’input stesso ha originariamente elicitato nel cervello medesimo.

Generalizzando, il «principio di realtà», come capacità di una mente sana di rimanere agganciata ad essa «creativamente», senza diventarne schiava, e «plasticamente» con una illimitata capacità di adattamento alle sue modificazioni, trova dunque in questo approccio una impressionante giustificazione fisico-matematica, teorica e sperimentale. Per tornare alle osservazioni di Deacon (2011) da cui eravamo partiti, l’oggetto assente, «inesistente» nella relazione intenzionale soggetto-oggetto coscienti, ma da cui la relazione intenzionale dipende, è l’oggetto reale. E la capacità della relazione intenzionale stessa di «rimanere agganciata» alle sue modificazioni, è evidenziata dalla capacità della relazione intenzionale medesima di riadattarsi continuamente alle modificazioni stesse, così da denotare in maniera invariante l’oggetto reale medesimo.

Tutto ciò significa ancora – e questo, è di nuovo in assoluta continuità col modello intenzionale nelle neuroscienze cognitive – che quando parliamo di operazione cognitiva come «generazione d’informazione», come auto-organizzazione di un «dominio di coerenza» («melodia») che si propaga all’interno della complessa dinamica cerebrale («cacofonia») cervello-ambiente, questo dominio di coerenza non è solo «dentro la testa», ma nell’interfaccia dinamico cervello-ambiente (Vitiello, 2004. La «mente» cioè non è dentro la testa – né dentro il solo corpo, visto che non c’è cervello senza il corpo di cui è parte –, ma la mente «contiene» il cervello e il corpo stesso, come tutti i rappresentanti del modello intenzionale di mente, da Tommaso d’Aquino, a Brentano (1874), a Husserl, a Merlau-Ponty (1988), a Varela … hanno sempre affermato, sia nella tradizione scolastica che fenomenologica (Basti & Perrone, 2001; Basti, 2009; Bateson, 2002; Marturana & Varela, 1980 Clark, 2008 Noë, 2009).

Finalmente, per quanto riguarda le basi fisiche in QFT dell’intersoggettività è ovvio che quando parliamo di «ambiente» non intendiamo solo quello naturale, ma a maggior ragione, anche dell’ambiente umano dell’intersoggettività, sia a livello sociale che culturale. Anche se l’evidenza finora raccolta è solo iniziale (per una sintesi al riguardo cfr. (Bischof, 2010), è ovvio aspettarsi che se il principio del doubling di un cervello che riadattandosi continuamente e dinamicamente «va in fase», «si accorda», con l’ambiente fisico, a maggior ragione il doubling accade quando a interagire sono due o più individui e quindi cervelli umani. A questo riguardo, esiste ovviamente uno stretto rapporto fra il principio del «doppio» (doubling) di Vitiello e del suo gruppo, e quello del «rispecchiamento» (mirroring) di Rizzolatti e del suo gruppo di Parma, con la scoperta dei famosi «neuroni specchio» come base dell’intenzionalità intersoggettiva (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006). La differenza critica fra i due approcci, rilevata da Vitiello come da me, è che ha poco senso collegare un comportamento intenzionale a un «rispecchiamento reciproco» di attivazione di neuroni singoli o organizzati in guppi contigui, nella corteccia motoria e/o sensoria. L’atto intenzionale con le sue molteplici componenti emozionali, sensorie e motorie richiede domini di coerenza che «correlino» dinamicamente l’attivazione di neuroni ed altre componenti del sistema neurale aree molto lontane del sistema limbico e della corteccia.

Io e Intersoggettività

Lo spirito come informazione

Alla luce di quanto abbiamo detto, è opinione sempre più diffusa fra i fisici che il futuro della loro disciplina – e delle scienze naturali in generale – è legato da molteplici punti di vista allo sviluppo di un’adeguata teoria matematica e sperimentale dell’informazione, a partire della sua fondazione micro- e macro-fisica e delle sue diverse manifestazioni, nei sistemi fisici, biologici e cognitivi nella QFT. Il futuro della scienza fisica dipende dallo sviluppo di questa teoria, tanto quanto i suoi inizi e il suo prodigioso sviluppo nella modernità sono stati legati allo sviluppo di un’adeguata teoria matematica e sperimentale della materia e dell’energia. Già all’inizio di questo saggio ci siamo dilungati su questi sviluppi della fisica dell’informazione che, come ricordato, ha nell’opera di John Archibald Wheeler (1990) uno dei suoi pionieri.

Il «materialismo di fatto» ancora perdurante soprattutto nella divulgazione dei risultati delle scienze naturali moderne, non rende giustizia ad un’evidenza empirica che è sotto gli occhi di tutti. E cioè che la vita psichica degli animali e, soprattutto dell’uomo, seppure sempre mediata da scambi di energia con l’ambiente, non dipende da questi, ma dall’informazione veicolata attraverso questi scambi. Si pensi, per esempio, all’importanza fondamentale che per il corretto sviluppo, sia biologico che cognitivo, del feto nel grembo della madre – o, ancora più evidentemente dei neonati prematuri costretti a trascorrere diversi mesi in incubatrice – hanno gli scambi d’informazione affettivamente significativi (=intenzionali), con l’ambiente inter-umano circostante.

Una volta che fosse a tutti ben chiaro, da questa come da un’infinità di altre evidenze di psicologia clinica e sperimentale, che la vita cognitiva delle nostre menti dipende criticamente da scambi d’informazione appropriata con l’ambiente circostante, quanto e molto di più la vita organica dei nostri corpi dipende da scambi metabolici (di materia e energia) appropriati con l’ambiente, la soluzione duale al problema teologico della sopravvivenza dell’anima dopo la morte risulterebbe molto meno sorprendente di quanto oggi ci possa sembrare. Essendo nella teoria duale l’anima razionale, non una sostanza indipendente da quella corporea, ma una parte – quella formale, organizzante dinamicamente la materia – dell’entità corporea individuale dell’uomo, si può capire la metafora tommasiana con cui egli giustifica metafisicamente la possibilità ontologica della sopravvivenza dell’anima. Di una sopravvivenza della sua vita psichica di relazioni, anche senza quegli scambi di materia, mediante cui era ad essa veicolata l’informazione, durante la sua esistenza come forma di un corpo umano vivente.

Persona e personalità, trascendenza e inter-soggettività

Dunque, la collocazione della mente nell’interfaccia cervello-ambiente è, da una parte, ciò che fa sì che il controllo da essa esercitato sia «dal di fuori» del corpo del singolo individuo, perché legato alle relazioni «intersoggettive» con gli altri uomini – di nuovo è «l’inesistente assente» che trascende e determina la natura immanente degli atti intenzionali –, e, d’altra parte, è ciò che fa dell’individuo umano una «persona». Ma limitarsi a questa dimensione di «trascendenza orizzontale», intersoggettiva, non basta a garantire la dignità delle singole persone e la loro sostanziale uguaglianza.

Al fine di garantire non solo uguaglianza fra tutti gli uomini, ma anche creatività ed insieme universalità intellettuale, nonché responsabilità individuale a livello morale e legale a ciascuna persona umana, a qualsiasi cultura appartenga – le basi della cultura occidentale nelle sue radici europee, come si vede – è necessario garantire ad ognuno una sua, individuale mente «separata». Questa «separatezza» dev’essere intesa, dal punto di vista delle operazioni, come la capacità effettiva data ad ogni individuo di controllare non solo i suoi istinti biologici – per questo, di fatto, anche una «società delle menti», per parafrasare il titolo della famosa opera di M. Minsky al riguardo, potrebbe essere sufficiente –, ma anche i propri condizionamenti culturali. Altrimenti non la singola persona, ma la sua biologia o la sua cultura sarebbero i soli attori e quindi i soli agenti responsabili, a livello morale e legale, delle azioni umane.

Io, libertà, intersoggettività4

Cura della persona come «prendersi cura dell’io nel noi»

È ovvio che, sulla base di questa antropologia, l’autentica cura della persona non consisterà in una alienante cura del «sé», cioè in una delle oggettivazioni possibili dell’io, da parte dell’ambiente o da parte del medesimo io. Esse sono tutte, in linea di principio, riduttive perché bloccano il dinamismo dell’io nella staticità di una sua immagine, di una sua parziale realizzazione. La cura della persona consiste invece nella cura dell’ «io autentico», perché liberi se stesso dalle sue sempre false oggettivazioni, e tenda alla piena realizzazione delle sue potenzialità. Tale realizzazione che – ricordiamocelo! – letteralmente significa «attualizzazione di potenzialità», passa sempre per il «noi» della relazione intersoggettiva, perché tornare al proprio «centro» da cui la dinamicità dei nostri «io» ultimamente sgorga, significa simultaneamente tornare al «nostro comune Centro» che tutti ci trascende e tutti ci contiene – comunque, poi, le nostre religioni e/o le nostre fedi «laiche», per la sfiducia imperante nelle varie «chiese» tradizionali, vogliano connotarLo (definirLo) e quindi denotarLo (nominarLo).

In ogni caso, centrale per la questione della cura della persona nell’ambito di un’ontologia duale della medesima, è la questione della libertà, della sua possibilità, rispetto al determinismo, e quindi la questione della sua natura e della sua funzione rispetto alla realizzazione della persona.

Libertà e determinismo: un falso problema

La deviazione cartesiana dell’antropologia moderna che ha trasformato l’ «io» in un’assurda cosa pensante (res cogitans) spirituale e del tutto separata da un corpo ridotto a «macchina inerziale», ovvero a un meccanismo basato sulla legge fisica del principio di inerzia, ha reso assurda anche la giustificazione della libertà della persona rispetto alla causalità fisica. Infatti, se l’io fosse puramente spirituale l’atto libero significherebbe un’interruzione della catena causale fisica ed una violazione del primo principio della termodinamica, quello per cui occorre sempre garantire il bilancio energetico in ogni processo fisico, non lasciando quindi alcuno spazio all’azione di «forze spirituali». Viceversa, come abbiamo visto una teoria duale basata sulla QFT dissipativa, che è in grado di dare in prospettiva una solida base anche fisica alla teoria duale e alla stessa nozione di intersoggettività, ha proprio nel principio del bilancio energetico la sua chiave di volta. Ed infatti nell’ontologia duale l’io è la persona, non la «cosa pensante» di Descartes, e la persona è il corpo umano individuale e vivente-perché-in-relazione, non qualcosa di indipendente dal corpo. L’atto libero richiede solo che quel corpo vivente individuale che è la persona umana, sia, grazie alla sua relazione informazionale con l’Assoluto e gli altri suoi simili, non solo un sistema auto-organizzante come qualsiasi vivente, ma un sistema auto-organizzante capace di controllare attivamente e individualmente anche i fini delle proprie azioni. Non dunque un’assurda interruzione della catena causale fisica si richiede per giustificare il libero arbitrio, ma che un corpo vivente sia causa sui nella completa auto-determinazione dei propri comportamenti, perché «sistema aperto energeticamente e informazionalmente», grazie ad una causalità fisica non arbitrariamente e assurdamente ridotta alla sua dimensione materiale, come è stata agli inizi della fisica moderna.

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L’autore

Gianfranco Basti, ordinario di Filosofia della Natura e della Scienza e Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense. Da oltre trent’anni è ricercatore nel campo dell’intelligenza computazionale (reti neurali) e delle scienze cognitive.

Contatto

E-mail: basti@pul.it

Anmerkungen

1 Questo articolo è la versione sintetica e solo leggermente modificata dell’articolo apparso in T. Carere-Comes & C. Montanari (A cura di). (2013). Atti del Convegno «Psicoterapia e Counseling: Comunanze e differenze» (pp. 59–107). Roma: ASPIC Edizioni scientifiche.

2 Lo scattering, letteralmente «deviazione» è il fenomeno per cui, nell’esperienza ordinaria, quando colpiamo una palla di biliardo (ferma o in movimento) con un’altra in movimento, ambedue vengono deviate. La meccanica quantistica ci ha già abituati al fatto che i fotoni siano particelle senza massa che deviano (e non solo vengono deviate) quando urtano altre particelle dotate di massa.

3 Tecnicamente, ciò si dice affermando che l’equivalenza che si crea fra le diverse concettualizzazioni «dinamiche» (transizioni di stato) del medesimo oggetto (p. es., la sostanza chimica H2O) in contesti («teste») diverse, non gode della proprietà di «bisimilarità». Banalizzando, la stessa «H2O» reale produce («etichetta») sempre in una «testa italiana» la sequenza di «transizioni-di-stato-etichettate» «a-c-q-u-a» («labeled transition system» corrisponde alla nozione di «programma computazionale» in logica dinamica, cioè nella logica modale applicata alla teoria della computabilità); in una «testa tedesca» la sequenza «w-a-s-s-e-r», in una «testa inglese», la sequenza «w-a-t-e-r», in una «testa francese» «e-a-u» etc. Queste sequenze fra di loro non si sovrappongono affatto, non sono affatto «bisimilari», se prese «a due a due» fra di loro. Eppure sono fra di loro «equivalenti per referenza», perché «etichettate» dallo stesso input «reale», l’»H2O». Viceversa, ciascuna sequenza soddisfa una relazione di bisimilarità col proprio input, nel senso che – come il meccanismo QFT del doubling esemplifica, ovvero, in logica modale, come la teoria della «doppia saturazione soggetto/predicato» formalizza – nella «testa tedesca» «H2O» ha elicitato e quindi etichetta sempre la sequenza ordinata «w-a-s-s-e-r», nella «testa italiana», «H2O» etichetta sempre «a-c-q-u-a» etc.

4 Per un approfondimento di questa sezione rimando al capitolo V del mio (Basti, 1995), a cui molte delle idee qui discusse direttamente si rifanno, sebbene col necessario aggiornamento.