Riflessioni sulla teen dating violence in tempi di pandemia
Lucia Beltramini
Psychotherapie-Wissenschaft 12 (1) 2022 95–98
www.psychotherapie-wissenschaft.info
https://doi.org/10.30820/1664-9583-2022-1-95
Riassunto: La violenza nelle coppie di adolescenti è un fenomeno frequente. Dati di ricerca raccolti prima della pandemia da Covid-19 evidenziano come in almeno una coppia di giovani su dieci le ragazze subiscano forme di violenza psicologica, fisica e sessuale, con esiti importanti sulla loro salute. Tali violenze possono essere esercitate di persona o tramite modalità online; nei periodi di confinamento legati all’emergenza sanitaria questa seconda tipologia di violenza sembra aver visto maggiore diffusione. Raramente ragazze/i vittime di violenza chiedono aiuto per la violenza che subiscono. Durante la pandemia formulare questa richiesta potrebbe essere risultato ancora più complesso a causa della chiusura di scuole e servizi. Tuttavia, quando un adolescente sceglie di raccontare la propria storia, è particolarmente importante che si senta creduta/o, rispettata/o e sostenuta/o, per rendere il momento della condivisione una reale opportunità di crescita personale e di possibile uscita dalla violenza.
Parole chiave: violenza, adolescenti, coppia, pandemia, salute, psicoterapia
La pandemia da Covid-19 ha rappresentato un’emergenza sanitaria e sociale dalla portata inimmaginabile. In ogni parte del mondo, individui, comunità e società hanno vissuto, in un lasso di tempo molto breve, cambiamenti drammatici e a volte irreversibili: lutti, malattie, confinamento, distanziamento sociale, lontananza dagli affetti, crisi lavorative, mancanza di una vita di relazione piena e condivisa, perdita di spazi e tempi esterni al nucleo familiare, limitazione nell’accesso a servizi e risorse. Ragazzi e ragazze, bambini e bambine, per molto tempo, sono stati a casa da scuole, contesti ricreativi, sportivi, musicali; famiglie intere, giovani e adulti, hanno dovuto imparare nuovi modi di comunicare, apprendere e relazionarsi, prestando costante attenzione alla propria sicurezza e a quella degli altri.
A distanza di quasi due anni dall’identificazione dei primi casi di Covid-19, l’impatto della pandemia sul benessere fisico, psicologico ma anche economico e sociale di singoli e società appare evidente. Meno evidente è però quanto è accaduto durante l’emergenza sanitaria nell’ambito di altre importanti problematiche sanitarie, sociali e politiche come la violenza di genere contro donne e ragazze.
La violenza contro donne e ragazze rappresenta, a livello mondiale, una grave violazione dei diritti umani e un problema di salute pubblica tra i più rilevanti, interessando almeno una ragazza/donna su tre nel corso della vita, pari a circa 736 milioni di donne di età superiore ai 15 anni (WHO, 2021). Sebbene ricerche di popolazione siano in corso per stimare in quale misura la pandemia e le misure di contenimento del virus, come il confinamento, abbiano portato ad un aumento, una diminuzione o una sostanziale stabilità nei tassi di violenza, l’emergenza sanitaria da Covid-19 sembra aver mostrato un incremento notevole – in alcuni Paesi aumentato fino a cinque volte (UN Women, 2020) – nelle richieste d’aiuto delle donne ai servizi deputati al sostegno e alla protezione, soprattutto attraverso canali telefonici o telematici. Questo sembra essere vero anche per la forma di violenza che maggiormente colpisce ragazze e donne, ovvero la violenza esercitata da un partner o da un ex.
Quando si pensa alla violenza dal partner si è soliti immaginare coppie adulte, sposate o che convivono. In realtà esperienze simili si possono verificare anche tra giovani e giovanissimi che stanno scoprendo le relazioni di coppia spesso per la prima volta.
L’espressione inglese teen dating violence descrive i comportamenti violenti che si possono verificare tra ragazzi/e che si frequentano, che escono insieme o che costituiscono una coppia. Questi comportamenti possono andare da manifestazioni di «dominazione e controllo» (telefonare continuamente all’altra persona; impedirle di uscire da sola o con altri; voler sapere continuamente cosa fa e con chi), alla violenza psicologica (insulti, prese in giro, umiliazioni anche in pubblico, minacce), alla violenza fisica (schiaffi, pugni, calci, aggressioni), a quella sessuale (pressioni per avere rapporti sessuali, stupro o tentato stupro). Ad esserne colpite sono soprattutto le ragazze, che subiscono violenze più gravi e più frequenti. Nel mondo, già prima della pandemia, più di 640 milioni di ragazze e donne (pari al 26% della popolazione femminile globale) avevano subito violenza da un partner; tra le ragazze che vivevano una relazione di coppia, circa una ragazza su quattro (24%) dai 15 ai 19 anni aveva già vissuto esperienze di violenza fisica o sessuale dal proprio fidanzato (WHO, 2021).
Uno studio multi-metodo condotto in Italia con questionari somministrati a più di 700 ragazzi/e dell’ultimo anno delle scuole superiori e 10 focus group realizzati con 40 ragazze/i dai 15 ai 18 anni d’età (Romito et al., 2007), ha evidenziato come più di una ragazza su dieci abbia già vissuto esperienze di violenza nella coppia. Dai focus group è emerso come non sempre tali atti siano riconosciuti come violenza: i comportamenti di dominazione e controllo possono essere scambiati per segni di interessamento e amore («Non vuole che parli con altri perché sono sua»); la violenza fisica può essere minimizzata («Mi ha colpita solo perché era geloso»); le pressioni sessuali possono non essere riconosciute come tali («Se non gli dico di sì mi lascia»). Anche per la presenza di questi meccanismi di minimizzazione e negazione, ragazzi e ragazze sono maggiormente a rischio di fare proprio un modello di relazione di coppia improntato all’esercizio del dominio sull’altro che potrebbe riprodursi anche nelle future relazioni adulte e per il quale risulta cruciale un intervento precoce (Beltramini, 2020).
Naturalmente alcuni adolescenti potrebbero aver già assistito a simili dinamiche in famiglia: nello studio italiano citato, circa un ragazzo/a su dieci aveva visto il padre picchiare la madre e quasi un adolescente su cinque aveva assistito a gravi violenze psicologiche sulla madre, dati in linea con la letteratura internazionale sull’argomento. Sebbene aver vissuto in simili contesti familiari aumenti il rischio di incorrere in esperienze di violenza nella coppia in adolescenza o in età adulta (WHO, 2019), questo non significa che tutti i bambini che hanno subito o assistito a violenza in famiglia diventeranno degli adulti violenti o le bambine delle vittime, soprattutto se viene offerta loro la possibilità di riconoscere, raccontare ed elaborare quanto vissuto.
La pandemia da Covid-19 si è fatta strada, con prepotenza, nella vita di ciascuno di noi. Nell’emergenza, la tecnologia ha rappresentato una risorsa imprescindibile e un vero e proprio strumento per continuare a mantenere la connessione con gli altri e con il mondo. Tuttavia, accanto a questo si sono manifestati anche i limiti della realtà digitale: la distanza, l’isolamento, la disconnessione con la vita reale, come pure il ricorso a comportamenti violenti e molesti online nei confronti di ragazze e donne, anche nell’ambito di relazioni sentimentali.
La «cyber-violenza di coppia» descrive i comportamenti violenti perpetrati dal partner tramite i nuovi mezzi di comunicazione e include tra gli altri minacce, intimidazioni, molestie, ricatti, insulti, utilizzo dei social network del partner senza il suo consenso, invio di immagini con contenuti sessuali non richiesti, ricatti sessuali. Pur nella specificità del mondo digitale, spesso si tratta delle stesse forme di violenza precedentemente descritte, che vengono però esercitate con le nuove modalità informatiche.
Una ricerca condotta negli Stati Uniti su un campione di oltre 5.000 ragazzi e ragazze, ha rilevato come più di 1 adolescente su 4 che è in coppia ha vissuto esperienze di cyber-violenza dal partner nell’anno precedente lo studio, e che le ragazze ne sono vittime il doppio rispetto ai ragazzi (Zweig et al., 2013). Tali comportamenti, presenti già prima della pandemia, sembrerebbero essersi acuiti durante l’emergenza sanitaria, stando all’incremento dei contatti registrato da alcuni servizi di aiuto alle vittime (Ragavan et al., 2020). Ad esempio, dati raccolti da Love is Respect, servizio rivolto ad adolescenti e giovani adulti statunitensi nell’ambito della Nation Domestic Violence Hotline, hanno evidenziato che le cyber-violenze di coppia riportate telefonicamente o via chat sono aumentate del 101% dal 2019 al 20201. Sebbene un aumento dei contatti telefonici non sia necessariamente indice di un aumento effettivo del tasso di violenza, rimane un dato rilevante, in attesa di indagini di popolazione più esaustive.
In generale, il grande utilizzo di strumenti tecnologici tra ragazzi e ragazze, una scarsa conoscenza e consapevolezza da parte delle famiglie dei rischi legati alle violenze online e una generale tendenza alla minimizzazione della violenza nelle coppie di adolescenti anche da parte degli adulti, sembrano essere fattori in grado di aumentare il rischio di abusi tramite dispositivi tecnologici. Tali violenze, lungi dall’essere considerate «meno reali perché virtuali» possono condurre ai medesimi esiti negativi sulla vita e la salute di chi ne è vittima, anche a causa della loro pervasività e della mancanza di limite fisico e temporale: potenzialmente, l’aggressore potrebbe contattare la vittima in ogni momento della giornata e ad ogni distanza, e immagini, video o altro materiale potrebbero essere diffuse a terzi senza controllo.
La violenza, che sia esercitata direttamente o tramite modalità digitali, può impattare su tutte le sfere della salute, da quella psicologica a quella fisica e sessuale. Quando subiscono violenze nella coppia, le ragazze corrono un rischio raddoppiato rispetto alle altre di andare incontro a disturbi del comportamento alimentare, sintomi di attacchi di panico, pensieri suicidari e sintomi depressivi; anche se subiscono meno violenza, per i maschi la tendenza è la stessa (Romito et al., 2013). Altri esiti della violenza sulla salute possono essere disturbi del sonno, abuso di alcolici (per le ragazze), bassa autostima, perdita di interesse per ciò che accade in famiglia, a scuola o negli altri contesti di vita, problemi di memoria e concentrazione, difficoltà scolastiche. In presenza di violenza sessuale sono poi frequenti vissuti di colpa e di vergogna, sintomi depressivi, ansia, disturbo da stress post-traumatico, disturbi alimentari, abuso di droghe o alcol, tentato suicidio. Vi è il rischio di andare incontro a gravidanze, complicazioni ginecologiche, malattie a trasmissione sessuale; alcune ragazze, come reazione al vissuto violento, possono esporsi a rapporti sessuali non protetti e a promiscuità sessuale, e presentare comportamenti iper-sessualizzati. Tutti questi sintomi possono avere più cause, ma sono frequenti tra chi ha subito violenze.
Non sempre gli esiti della violenza sono però evidenti, e una parte delle vittime potrebbe non presentare chiari sintomi di disagio o malessere.
Nonostante la violenza possa avere un impatto importante sul benessere, raramente le/gli adolescenti chiedono aiuto. Ragazze e ragazzi sono generalmente poco propensi a fidarsi e a confidarsi, soprattutto con gli adulti. Quando scelgono di farlo, la fiducia viene generalmente riposta in un’amica/o; se il confidente è un adulto, solitamente si tratta di un familiare (più spesso la madre), talvolta un insegnante o un educatore/trice.
La richiesta di aiuto può essere più o meno diretta: non è infrequente, ad esempio, il ricorso a bigliettini anonimi o alla richiesta di informazioni per una presunta amica in difficoltà, con una manifestazione di disagio a volte evidente altre celata. Quando la ragazza decide di raccontare quanto accaduto, la storia può essere riportata «un pezzo per volta», a testare le capacità dell’adulto di reggere il vissuto e di dare spazio e dignità alla vittima.
Durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, con le scuole chiuse o a distanza e molti servizi sul territorio ad accesso limitato, formulare una richiesta di aiuto per un adolescente potrebbe essere risultato ancora più complesso. Tuttavia, in diverse realtà sembra esserci stato sia un potenziamento dei servizi online per le vittime, sia una diffusione maggiore di blog, forum, gruppi di aiuto, movimenti anti-violenza che proprio nella rete e anche tra i giovani sembrano aver trovato nuovi stimoli e respiro.
A prescindere dalla situazione pandemica, la questione della violenza di coppia in adolescenza può interessare psicoterapeuti che operano in ambiti di intervento anche molto differenti. In senso più specifico, può essere di interesse per coloro che lavorano con adolescenti e famiglie; per chi collabora con scuole, sportelli d’ascolto, consultori, servizi ricreativi ed educativi; per chi si occupa di violenza di genere, discriminazioni e diritti umani; per chi lavora col trauma. In senso ampio, può interessare tutti coloro che si occupano di promozione della salute, anche sessuale e riproduttiva, di prevenzione dei comportamenti a rischio, di disturbi del comportamento alimentare, di prevenzione del rischio suicidario. In ciascuno di questi contesti e in altri ancora, è possibile incontrare ragazze/i che hanno subito o sono stati esposti a comportamenti violenti e che in alcuni casi trovano il coraggio di raccontare la loro storia.
Sebbene non sia possibile in questa sede analizzare nel dettaglio la modalità di intervento clinico da realizzare con le vittime di violenza, per le quali si rimanda a testi specialistici e a linee guida internazionali (ad esempio van der Kolk, 2014; WHO, 2017), è tuttavia possibile sintetizzare alcune linee di indirizzo per l’ascolto dell’adolescente, utili ad operatrici/tori che a diverso titolo potrebbero confrontarsi con il racconto di una/o ragazza/o che sta vivendo o ha vissuto una storia di violenza.
In primo luogo, è fondamentale avere chiaro il proprio ruolo e il perimetro delle proprie azioni. La violenza può creare confusione e frammentazione, per questo motivo è particolarmente importante essere consapevoli della propria posizione, di ciò che si può e non può fare. Parimenti, essere a conoscenza della rete anti-violenza presente sul proprio territorio e/o rivolgersi a centri specialistici o a colleghi più formati in caso di bisogno, rappresentano importanti fattori di tutela sia nei confronti dell’adolescente che del benessere del professionista.
Per quanto riguarda lo specifico del colloquio, risulta fondamentale accogliere il racconto e offrire uno spazio e un tempo adeguati per l’ascolto, rendendosi disponibili a parlare della violenza anche in altri momenti se l’adolescente non dovesse sentirsela in quel frangente. Cruciale in ogni situazione è credere a quanto viene riferito, adottando un atteggiamento di comprensione non giudicante e di solidarietà morale, nel contesto di un ascolto attento ma non intrusivo.
Particolare attenzione va prestata al rischio di vittimizzazione secondaria: comportamenti quali mettere in dubbio la credibilità della vittima, trasmetterle l’idea che sia in parte responsabile di quanto accaduto, sminuire l’impatto della violenza, possono incrementare il senso di impotenza, la rabbia e la colpa delle vittime, inducendole ancora di più al silenzio e peggiorando le problematiche legate alla salute. È altresì importante non fare promesse che non si è certi di poter mantenere, evitando quindi di creare aspettative che potrebbero risultare disattese, ad esempio promettendo che la violenza sicuramente cesserà o che il colpevole sarà sicuramente punito se non si è assolutamente certi che questo accadrà. Allo stesso modo, non si dovrebbe promettere che la rivelazione sarà mantenuta riservata se non si è sicuri di poterlo fare. Il professionista potrebbe infatti trovarsi, per legge, a dover adempiere ad obblighi di segnalazione: in questi casi è importante comunicare tale obbligo all’adolescente, trasmettendo il messaggio che quanto l’adulto sta facendo è per il bene della ragazza/o e che la stessa/o ha il diritto di essere informata/o su quanto sta accadendo.
Sempre importante è fornire all’adolescente tutte le informazioni sui servizi a cui rivolgersi per chiedere aiuto: da una parte questo trasmette l’idea che vi sia una possibilità di sostegno; dall’altra rimette nelle mani della ragazza/o almeno una parte di quel senso di «controllo» sulla propria vita che la situazione violenta potrebbe aver minato. Per lo stesso motivo è essenziale rispettare i «confini», anche fisici, della ragazza/o, senza dare per scontato che un contatto – come un abbraccio o una mano sulla spalla – rappresentino sempre contatti graditi.
Per i colloqui o gli interventi online, così rilevanti durante il periodo pandemico, le indicazioni restano le medesime, con l’accortezza di prestare attenzione alla sicurezza della ragazza/o anche a distanza, chiedendosi se l’adolescente può parlare liberamente, se si trova in un luogo sicuro e se c’è un adulto di riferimento al quale può comunque rivolgersi anche in presenza (Ragavan et al., 2020).
Sebbene la violenza possa già far parte della vita di coppia degli adolescenti, non è sempre semplice riuscire a portare lo sguardo a quanto può accadere a ragazzi e ragazze in una sfera relazionale così delicata. Fare questo in un contesto di pandemia mondiale risulta senza dubbio ancora più complesso. Gli aspetti da considerare sono infatti molteplici, sia per quanto attiene al riconoscimento della violenza sia per quanto riguarda le iniziative di prevenzione e contrasto da poter adottare.
Da una parte, pur essendo noto che la violenza contro le donne e le ragazze non rappresenta una questione «emergenziale» ma ha una natura strutturale connessa alle dinamiche di genere proprie delle nostre società (Consiglio d’Europa, 2011), le ricerche in materia evidenziano che in periodi di crisi severa – come le pandemie, le guerre, le catastrofi naturali – la violenza può vedere una particolare recrudescenza e necessitare di specifici interventi a supporto delle vittime e preventivi. In tal senso, molti dei cambiamenti che ci siamo trovati a vivere in questa crisi pandemica, come la chiusura delle scuole e di altri contesti educativi, la diminuzione delle attività di prevenzione della violenza che si svolgono in tali ambiti e l’aumentata difficoltà nell’accesso ai servizi socio-sanitari, hanno rappresentato degli evidenti ostacoli al contrasto del fenomeno. Dall’altra, si auspica che l’attenzione sociale, politica e mediatica che è stata portata durante l’emergenza alle richieste di aiuto delle vittime, permetta di rafforzare i servizi a sostegno, sensibilizzare le istituzioni al tema, incrementare il ricorso a strumenti di prevenzione, protezione delle vittime e persecuzione dei colpevoli, come richiesto dalla normativa in materia (ibid.), aumentando la consapevolezza sociale e individuale della diffusione e dell’impatto che la violenza può avere sul benessere e sulla salute. In questo, psicologhe/i e psicoterapeute/i formate/i possono giocare un ruolo fondamentale, accettando la sfida dell’intervento, sia in fase di prevenzione sia nei percorsi di sostegno o cura.
Nell’incertezza che caratterizza questo momento storico, vi sono quindi alcune certezze: che la violenza sia frequente e spesso taciuta, ma che non per questo faccia meno male, e che uno spazio di ascolto autentico, un confronto aperto e non giudicante, il poter raccontare la propria storia sentendosi rispettati, sostenuti, creduti – a livello individuale, ma anche istituzionale e sociale – possa rappresentare l’avvio di un percorso di uscita dalla violenza.
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L’autrice
Lucia Beltramini è Psicologa, psicoterapeuta, dottore di ricerca in neuroscienze e scienze cognitive e docente a contratto presso l’Università di Trieste con dove insegna «Violenza alle donne e ai minori». Si occupa di prevenzione della violenza di genere e di promozione delle pari opportunità, svolgendo attività di ricerca, formazione e intervento. Ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche sul tema ed è autrice del libro La violenza di genere in adolescenza. Una guida per la prevenzione a scuola (2020).
Contatto
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